Com'erano soliti trascorrevano le festività natalizie all’inizio del secolo scorso i valsuganotti?
Per rispondere a questa domanda è utile affidarsi alle pagine scritte dallo storico Angelico Prati nel 1923...
di JOHNNY GADLER
Di preciso non conosciamo l'anno in cui venne festeggiato il primo Natale nella storia dell'umanità. Di certo sappiamo che quello del 2020 verrà ricordato come il primo Natale P.C., ovvero post Covid-19. Una pandemia, quella tuttora in corso, che segnerà inevitabilmente la fine e l'inizio di una nuova epoca.
In che modo purtroppo non è ancora dato saperlo. Ciò di cui dobbiamo prendere atto, tuttavia, è che questo Natale sarà diverso da tutti gli altri che abbiamo vissuto negli ultimi decenni. Un Natale più spartano e senz'altro meno mondano: più bello o più brutto dipenderà anche da ciascuno di noi, da come affronteremo questa crisi del tutto anomala, ma con cui dovremo imparare a convivere.
Secondo alcuni questo Natale segnerà un ritorno alle festività semplici e genuine dei nostri nonni. Ma com'erano soliti trascorrevano le festività natalizie all’inizio del secolo scorso i valsuganotti?
Per rispondere a questa domanda è utile affidarsi alle pagine scritte dallo storico Angelico Prati nel 1923 con il titolo de “I Valsuganotti (La gente di una regione naturale).
Nel capitolo dedicato alle feste il Prati scriveva: «In tempi andati i nostri popolani si divertivano molto più d’ora. Frequentavano molto le sagre dei paesi della valle. In quella occasione comperavano buzolati (paste dolci) (bècarle), bafini, scrocanti, spomilge ecc.) e giocattoli, giocavano alla palla, facevano giterelle, alla notte ballavano».
Entrando nello specifico delle festività natalizie, Angelico Prati annotava le seguenti ricorrenze: «San Nicolò da Bari (6 dicembre, sarebbe la festa dei scolari, ma almeno ora la festa dei ragazzi e delle ragazzette è Santa Lucia (13 dicembre). Nel Bellunese si festeggiano tutt’e due, mentre a Venezia, a Padova ecc. viene la Befana. Da noi, bambini, ragazzi e ragazzette, prima di andare a letto, alla vigilia di S. Lucia, mettono fuori dalle finestre dei piatti o scodelle di crusca, che alla mattina dopo trovano ripieni di frutti, dolci o altro, portati, secondo loro credono, da quella santa, che viene coll’asinello carico di doni, e la crusca serve appunto per lui. Ma si dice anche: Santa Lùzia, mama mia, // porta còche in casa mia: // se la mama no ghe n mete // resta vode le scudelete».
E poi arriva la festa più attesa, più carica di significati. «La notte della vigilia di Natale – scriveva il Prati – i cantori si recavano davanti alle case di alcuni del paese, cantavano il Puer natus, e poi entravano a bere. Quella sera sogliono incensare le camere e le stalle, e poi giocare a cruscherella (ale sémole)».
Per la notte di S. Silvestro Angelico Prati riporta la seguente usanza, di cui rimane ancora l’eco in molti paesi della valle: «Un tempo, e più di rado ora, si veglia la notte dell’ultimo dell’anno, e al mattino si vince la bonamàn colle parole dette in fretta: bonan bondì la bonamàn a mì».
Il giorno dell’Epifania, invece, «usavano vincere le beganate (doni dell’Epifania)».
Poi il Prati cita altri usi e costumi legati all’intera stagione invernale.
«Tra i passatempi invernali ci sono quelli di fare l’omo o il pulpito di neve, da parte dei ragazzi, i quali si dànno però con passione a sdrucciolare sul ghiaccio con gli slittini ferrati (sgédole, ferade, ravatèi), certi vecchi di 50 o 60 anni, bassi e poggianti su due assicelle ferrate, mentre slittini con ferrati (detti pitòti) usano a scivolare sui prati di montagna, d’estate. Giù pei pendii ghiacciati scivolano anche con un palo tra le gambe, e tenuto davanti colle mani. Fanno anche le galère, cioè scivolano collo slittino, ponendo su esso il ventre all’ingiù, e il capo in avanti. Un altro di loro siede su uno slittino di dietro e intreccia le gambe con quelle di colui che è davanti. A volte si radunano in molti. Anche siedono su slittini, tenendosi con una mano in un palo orizzontale, da un lato. Ciò fanno pure gli adulti. Si penserebbe che le galère ricordino le regate con le galee, che sono le più antiche a Venezia (secolo XIV), ma a Venezia dicono però galìa.
I nostri vecchi facevano pure il salto del còl de l’oca, che consisteva nel pigliare un pollo o una gallina, sospesi in alto attraverso una strada ghiacciata, passando collo slittino e facendo con questo un salto».
Tutto ciò è passato e non potrà più ritornare... ma chissà come fra cent'anni descriveranno il nostro Natale 2020, il Natale della pandemia, il Natale che non t'aspettavi e che invece, purtroppo, è arrivato.