di LINO BEBER
Nel 2015 si erano presentate all’archivio parrocchiale di Pergine Valsugana tre persone provenienti da Buenos Aires in Argentina alla ricerca delle loro radici: la signora Elia Espen, la figlia Silvia Miedan con il figlio Martin Macchia.
Ero stato allora coinvolto nella ricerca genealogica, dalla quale è nata una storia di emigrazione in un grande paese come l’Argentina, dove la metà della popolazione è formata da discendenti di origine italiana, e la vita coraggiosa di Elia Espen, una delle “Madres de Plaza de Mayo” dalla fondazione che tuttora a 93 anni continua a manifestare pacificamente tutti i giovedì in ricordo del figlio Hugo in nome della libertà.
La signora Elia, nata in Argentina nel 1931, è figlia di Giuseppe Espen nato a Pergine nel 1894, coniugato nel 1922 con Adelaide Sartori di Costasavina.
Nel 1925 la coppia emigrò in Argentina. Giuseppe non tornò più nel suo paese natale e la figlia Elia ha voluto conoscere dove era nato il padre.
Con sé aveva una vecchia fotografia dello studio Paoli che ritrae un gruppo di persone tra cui il papà Giuseppe, la zia Maria Espen sposata con Angelo Fontanari a loro volta emigrati in Argentina e tra le persone si riconoscono Giuseppe Fruet detto “Simon” dal nome del padre Simone e i due fratelli Zieger, Giacomo e Giuseppe, quest'ultimo il primo sindaco perginese provvisorio dopo la caduta del fascismo.
In Argentina dalla coppia Giuseppe Espen e Adelaide Sartori nacquero i figli Rino (1926-2013) ed Elia (1931). Rino sposò Vera Furlan e nacque il figlio Omar.
Elia si sposò giovanissima con Juan Elvidio Miedan (1922-2007) e nacquero Anna Maria (1948), Hugo Orlando (1949-1977), Cristina Mabel (1951), Alicia Irene (1952), Silvia Adela (1954) e Gabriela Malvina (1966).
Il figlio Hugo Orlando è uno dei circa 30 mila desaparecidos, persone “scomparse” tra il 1976 e il 1983 in Argentina, gli anni della grande dittatura militare.
Per cercare di capire meglio la situazione è necessario raccontare quali atrocità furono commesse in quel periodo.
Il presidente Jorge Rafael Videla (1925-2013), generale dell’esercito, il comandante della marina Emilio Massera (1925-2010) e il generale d’aeronautica Roberto Eduardo Viola (1924-1994) che fu presidente dal 1981 al 1983, dopo un colpo di stato nel 1976 istituirono in Argentina una dittatura militare di stampo nazi-fascista senza precedenti e basata su una parola che gli argentini non scorderanno mai più: il terrore.
Con banali scuse e in seguito senza nemmeno quelle, le forze di polizia e i militari rapivano, sequestravano studenti, professori, attori, e chiunque provasse solo a parlare contro la dittatura.
I prigionieri, dopo essere stati portati in campi di concentramento, subivano torture con scosse elettriche, percosse e altri metodi di tormenti come essere bendati e immersi in un barile d’acqua, sale sulle ferite, olio e acqua bollente sui loro corpi feriti, e quanto di più disumano possa esistere.
Alle crudeltà parteciparono anche ex ufficiali nazisti scappati in Argentina e che eseguivano esperimenti sui prigionieri.
Scopo del governo era terrorizzare la popolazione, nessuno avrebbe più parlato per paura di “scomparire” o peggio di veder rapire sotto gli occhi un proprio caro.
Tante furono le donne sequestrate, stuprate dai militari e tanti furono anche i bambini nati nei campi di prigionia.
Molti furono gli adolescenti e gli studenti scomparsi, tra le tante storie ne scegliamo una che forse le rappresenta tutte nella sua tristezza, la storia anche raccontata nel film La notte delle matite spezzate (La Noche de los lapiches) dove gli studenti Claudia Falcone, Maria Clara Ciocchini, Claudio De Acha, Daniel Racero, Horacio Ungaro, Francisco López Muntaner e Pablo Diaz vennero rapiti nelle loro case, colpevoli solo di aver manifestato contro il prezzo troppo alto dei mezzi pubblici, tutti vennero torturati e uccisi, tranne uno Pablo Diaz, testimone di questa orribile vicenda Diaz venne liberato con queste parole: «È stato deciso che tu viva, ti porteremo fuori di qui a patto di dimenticare tutto quello che hai visto, tu non sei mai stato qui».
Talora infatti alcuni prigionieri venivano liberati, in modo che fossero testimoni delle atrocità commesse, e così terrorizzare ancora di più la comunità argentina. I principali artefici della dittatura Videla, Massera e Viola con i loro esecutori furono prima accusati e incarcerati ma, 4 anni dopo, con l’elezione del presidente Carlos Menem, vennero tutti liberati e fu loro concesso il perdono incondizionato.
Funzionari di polizia, soldati, carcerieri continuarono a occupare i loro posti di potere anche dopo la fine della dittatura, nessuno di loro ha pagato e alcuni ancora oggi risiedono negli alti vertici delle forze armate argentine.
La politica di terrore fu così efficace che a molti torturatori e carcerieri fu proposto di collaborare con la CIA americana come consulenti durante gli interrogatori, alcuni scrissero anche manuali sulla tortura.
Ma non tutto era avvolto dal silenzio, le prime a ribellarsi furono le “Madres de Plaza de Mayo”, cioè mamme di figli scomparsi che tutti i giovedì marciavano con un fazzoletto bianco in testa in Plaza de Mayo a Buenos Aires, davanti al palazzo di giustizia chiedendo che chi commise quelle atrocità venga condannato dalla giustizia.
Una sua testimonianza: «Sono Elia Espen. Mio figlio è scomparso dal 18 febbraio 1977. Si chiama Hugo Orlando. Aveva 27 anni e frequentava il IV anno di architettura. Nel mio caso quando i militari arrivarono a casa nostra, prima di portar via tutto, proprio tutto e non lasciare nulla, ci maltrattarono con violenza. Io fui tremendamente colpita e misero le mani addosso alle mie figlie».
Giuseppe Espen di animo socialista nel 1925 era emigrato in Argentina per sfuggire al regime fascista e il nipote Hugo trovò in questo paese latino-americano una fine crudele per opera di una dittatura militare con il piacere della sadica crudeltà.