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Greco e latino: lingue morte per davvero?

Immagine del redattore: il Cinqueil Cinque

Ernesto Anderle



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di LINO BEBER


Una delle prime parole che impariamo è alfabeto, che origina dalle prime due lettere dell’alfabeto greco (alfa + beta) . E poi tanti vocaboli di ogni giorno: analgesico (an = privo + algos = dolore), antidoto (antidoton = dato contro), democrazia (demos = popolo + kratia o crazia = potere, comando) e la lista è lunghissima, a dimostrazione che noi parliamo greco senza saperlo, tantissime parole derivano infatti da questa lingua considerata morta, ma che vive ancora.

Lo stesso vale per il latino; agenda (le cose che si devono fare), album deriva da albus (bianco), gratis origina da gratia (benevolenza) e anche qui la lista è lunga e dimostra l’origine del nostro italiano dalla lingua latina che diventò poi volgare e nel medioevo con san Francesco, Cecco Angiolieri, Dante, Petrarca, Boccaccio e tanti altri diventò la nostra lingua.

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Ci soffermiamo ora sulla lingua latina come introduzione a una nuova rubrica di alcuni detti latini, tuttora in voga nel nostro parlare giornaliero.

Il latino è una lingua indoeuropea parlata nel Lazio almeno dagli inizi del I millennio a.C.; inizialmente era parlata da alcune tribù indoeuropee originarie dell’Europa centro-orientale, che, dopo essersi insediate nel Lazio, fondarono nell’VIII secolo a.C. la città di Roma.

Nel I secolo a.C., con l'estensione della cittadinanza romana agli Italici, la lingua arcaica subì un processo di purificazione per opera di Cicerone, Catullo e, sotto il principato di Augusto, con Orazio, Virgilio, Ovidio, Tito Livio, Seneca, Lucano, Petronio, Quintiliano, Stazio, Giovenale, Svetonio, Tacito e altri.

Il latino diventò lingua ufficiale dell’impero romano, in particolare nella sua parte occidentale. In tempi successivi cominciò ad acquistare sempre più importanza il latino volgare, parlato dalla gente comune.

Con la caduta dell'impero romano, il latino fu ancora usato per secoli come unica lingua scritta nelle cancellerie dei re, nella curia romana, nella liturgia della Chiesa cattolica, nella produzione dei libri, ma era un latino sempre più influenzato dal linguaggio popolare noto come volgare.

Intorno all’800 Carlo Magno riunì i maggiori dotti dell’epoca, come il longobardo Paolo Diacono e l’anglo Alcuino di York, ai quali diede il compito di riorganizzare la cultura e l'insegnamento nel territorio del suo impero. Nell’842 fu scritto in lingua romanza francese il “Giuramento di Strasburgo”.

Nelle università medievali l'insegnamento era rigorosamente in latino, che si era evoluto, rispetto ai tempi di Cicerone o di Orazio, in un latino detto scolastico.

Il latino continuò a essere usato come lingua della filosofia e della scienza, sia in Italia sia all'estero (Tommaso Moro, Erasmo da Rotterdam, Tommaso Hobbes...), e in latino scrissero anche gli scienziati Copernico, Newton, mentre Galilei usò sia il latino sia l’italiano, a seconda del pubblico a cui era destinata l'opera.

Il latino volgare, parlato dal popolo, fu sostituito dalle varie lingue nazionali neolatine o romanze (italiano, francese, spagnolo, portoghese, romeno).

La Chiesa cattolica ha usato il latino come principale lingua liturgica fino al Concilio Vaticano II.

In Italia è insegnato nei licei classici, scientifici, linguistici e delle scienze umane, benché il suo studio sia stato ridimensionato considerevolmente dalla Riforma Gelmini dal 2011.

Anche se la lingua inglese non è classificata come neolatina, più del 65% del lessico inglese deriva in qualche modo dal latino; il linguista Tullio De Mauro ha definito l'inglese «la più latinizzata e romanizzata delle lingue non neolatine».

Tra tutte le lingue romanze quelle più simili al latino sono lo spagnolo e il portoghese assieme all’italiano e al francese con molte radici lessicali in comune.

L’inglese è ormai considerata la lingua per eccellenza di comunicazione a livello internazionale in ogni ambito (economico, politico, culturale, professionale, tecnico-scientifico) e, pur essendo una lingua indoeuropea germanica, nel corso dei secoli ha subìto profondi mutamenti, sia nella pronuncia sia nella scrittura.

Tra l’inglese antico, quello medievale e quello moderno si sono susseguiti grandi cambiamenti sia nella struttura sia nel suono stesso della lingua e tale evoluzione ha determinato una struttura particolarmente semplificata che ha agevolato l’assimilazione di un gran numero di vocaboli stranieri. Particolarmente influenti sono stati il latino e il francese. L’attività militare romana era iniziata nelle isole britanniche già nel 55 - 54 a.C. quando l’esercito di Cesare mosse dalla Gallia, dov’era impegnato nella sottomissione di quelle regioni, alla volta della Britannia, la cui conquista romana iniziò sistematicamente nel 43 d.C., al tempo dell’imperatore Claudio, e si protrasse per diversi secoli, lasciando tracce documentabili di latino.

Nel VI secolo arrivarono in Inghilterra i primi monaci cristiani e si aprirono le porte alla latinizzazione dell’inglese, con l’introduzione di termini ecclesiastici e religiosi. L’occupazione dell’Inghilterra da parte dei Normanni nel 1066 portò la crescente influenza del francese, una lingua già ampiamente latinizzata, il cui contributo fu determinante per l’evoluzione dell’inglese.

Nel periodo rinascimentale, con la riscoperta dei classici, il latino tornò in auge soprattutto in ambito artistico, letterario, culturale e accademico.

Con l’avvento dell’era industriale sorse la necessità di coniare nuovi termini per descrivere oggetti e nuove scoperte e, in molti casi, si tornò ad attingere direttamente dal greco e dal latino.

Dopo la II Guerra mondiale, l’inglese spodestò il francese come lingua franca internazionale, soprattutto grazie al potere politico ed economico degli Stati Uniti d’America.

Si stima che i vocaboli “nativi” derivanti dall’inglese antico, non siano più del 20-33% del lessico totale, benché rappresentino di gran lunga le parole più utilizzate nel quotidiano. In linea di massima, i vocaboli di provenienza anglosassone sono più brevi e semplici rispetto alle parole con radici latine, le quali tendono a un maggior uso in ambito letterario, accademico e commerciale.

A motivo di questa singolare miscela di provenienze linguistiche, l’inglese vanta un’ampia scelta di sinonimi, alcuni di origine germanica e altri di origine latina, come ad esempio answer/response (risposta),end/finish (fine), snake/serpent (serpente), pig/pork (maiale, porco)...

Pur essendo sinonimi, vi sono sottili differenze di significato tra queste parole.

Alcuni termini latini sono stati incorporati nella lingua inglese rispettando la loro forma originale (esempio: focus, stadium, bonus) ma, soprattutto in campo informatico e digitale, abbondano anche gli anglolatinismi; ovvero, vocaboli latini “presi in prestito” dall’inglese e riadattati al contesto attuale e poi “restituiti” alla lingua italiana (esempio: status, media, data, server, sponsor).

Alcuni di questi termini si sono trovati talmente a proprio agio nel lessico italiano, da aver ispirato a loro volta nuove parole (per esempio digitare, digitalizzare).

Anche se i puristi della lingua italiana odiano gli anglicismi ormai onnipresenti nella lingua italiana, in qualche modo bisogna riconoscere i meriti di tale fenomeno che alcuni linguisti definiscono “latino di ritorno”.

Sono tanti i latinismi comunemente utilizzati nel mondo anglofono: junior e senior, campus, referendum, video, audio, data, bonus, alibi, plus, ultra, super. Queste parole si scrivono in modo identico anche in italiano, ma la pronuncia inglese assai diversa li rende talvolta irriconoscibili all’ascolto. Il lessico inglese continua tuttora ad arricchirsi di nuovi latinismi, poi esportati in giro per il mondo. In questo modo, il latino continua a vivere anche grazie all’inglese.

Milioni di persone sedute di fronte al proprio computer che guardano un video sul monitor o commentano sul forum preferito sono la riprova che il connubio tra latino e inglese è stata una formula davvero vincente. Questo forte legame con l’antica lingua franca dei Romani ha contribuito a rendere l’inglese il non plus ultra della comunicatività.

Lo scrittore spagnolo Carlos Ruiz Zafón (1964-2020) ha detto: «Non esistono lingue morte, ma solo cervelli in letargo».




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