di Luca Girotto
Il famoso libro per ragazzi "Piccolo Alpino" di Salvator Gotta trova analogie nella vicenda di Vigilio Ilario Pecoraro di Telve il quale divenne famoso con l'appellativo "il caporalino della Valsugana" grazie a un articolo, non del tutto circostanziato, pubblicato nell'estate del 1917 dall'Illustrazione Italiana. Ecco la vera storia di Ilario Pecoraro che abbiamo ricostruito grazie alle fonti d'archivio e alle testimonianze dirette di chi lo conobbe...
La maggior parte dei lettori di mezz’età de “il Cinque” non risulterà certamente sconosciuto il libro per ragazzi “Piccolo alpino”, di Salvator Gotta, incentrato sulla vicenda d’un ragazzino fuggito di casa alla ricerca del padre soldato e “adottato” da un battaglione di alpini con i quali combatterà al fronte fino a ritrovare il genitore.
Uscito in prima edizione nel 1926, quel romanzo per ragazzi accompagnò nell’adolescenza generazioni di italiani fino agli anni ’70 del secolo scorso. Ma il “piccolo alpino” esistette veramente: proveniva da Lamon (BL) ed accompagnò un reparto d’alpini (il battaglione Val Cismon) dal 1915 al 1916 sui monti a nord della Valsugana, tra la valle del torrente Maso e forcella Magna, incontrando tra gli altri Paolo Monelli, come pure Salvator Gotta che da quell’incontro trasse ispirazione per il suo romanzo.Ma, se in pochi sono oggidì al corrente dell’esistenza effettiva del “piccolo alpino”, ancor più ridotto è il numero di coloro che conoscono la storia di quello che la stampa d’epoca denominò “il caporalino della Valsugana”.
Le luci della ribalta s’accesero su questo soldato-bambino nell’estate del 1917, quando sulla rivista “L’Illustrazione Italiana” comparve un trafiletto, corredato da foto, nel quale si narrava brevemente la vicenda d’un ragazzino divenuto mascotte delle truppe italiane dislocate nella valle del Brenta: “Ilario Pecoraro, d’anni undici, nato a Telve di Sopra, aveva avuto il padre ucciso in Galizia ed era rimasto affidato ad una matrigna che lo bastonava. I soldati d’un glorioso reggimento di fanteria lo tolsero alla barbara donna, lo portarono con loro, ne fecero un figlio del reggimento, poi lo affidarono ad un battaglione di territoriali. Oggi il bambino, che i soldati hanno promosso caporale, è un vero e proprio militare idolatrato dai buoni territoriali». La notizia era troppo ghiotta per non volerla approfondire, e pertanto chi scrive s’è appoggiato agli uffici anagrafici comunali, alle testimonianze della documentazione militare ed alle notizie reperite in paese, grazie soprattutto all’aiuto del sig. Paolo Pecoraro, riuscendo a ricostruire parzialmente la vicenda.
Innanzitutto il ragazzino, effettivamente esistito, non era originario di Telve di Sopra bensì di Telve.
Vigilio Ilario Pecoraro, questo il nome completo, era figlio di Giovanni (nato, anch’egli a Telve, il 5 luglio 1866) e Teresa Campestrin (originaria di Torcegno). Nacque a Telve il 26 giugno 1906 preceduto da un fratello (Luigi, classe 1901) e da una sorella (Caterina, nata nel 1903). Il padre Giovanni, ormai quarantottenne, era effettivamente stato richiamato con la leva in massa del novembre 1914 ed inviato al fronte orientale, incorporato nel 4° battaglione di marcia del 1° reggimento del Landsturm tirolese ma, contrariamente a quanto riferito dall’articolista, non lasciò la vita sui campi di battaglia della Galizia (morì infatti a Telve il 2 febbraio 1943) riuscendo a rientrare a Telve alla fine del conflitto. La famiglia, tuttavia, nel 1915 si era trovata in gravi difficoltà e ristrettezze economiche, privata com’era delle braccia del capofamiglia. Nell’autunno Teresa aveva così deciso di stabilirsi temporaneamente presso i suoi genitori a Torcegno e, aiutata dai due figli maggiori (Luigi e Caterina) aveva iniziato a spostare le masserizie che riteneva indispensabili o delle quali non voleva privarsi per ragioni affettive.
Il trasloco aveva richiesto ripetuti spostamenti tra Telve e Torcegno e proprio durante uno di questi viaggi i tre erano stati sorpresi da una pattuglia germanica insospettita dall’andirivieni che “sapeva tanto di spionaggio”. Insensibili al pianto ed alla disperazione della donna e dei ragazzi, i militari teutonici avevano obbligato i poveretti ad una lunga e faticosa marcia fino oltre gli avamposti austriaci del Sennsattel (Forcella delle Conelle) donde erano stati poi accompagnati sotto scorta nell’alto Perginese per le opportune verifiche. Gli accertamenti avevano avuto esito negativo ma, avendo ormai superato la linea del fronte, i tre dovettero ovviamente rassegnarsi ad una lontananza che sarebbe durata fino alla fine della guerra.
Vigilio Ilario, il vivace figlio minore lasciato da Maria Teresa a sorvegliare l’abitazione di Telve (teoricamente solo per il paio d’ ore necessario all’andata e ritorno per e da Torcegno), rimase pertanto separato dalla famiglia a soli 9 anni, privo di notizie e di mezzi di sostentamento. A lui provvide allora, accogliendolo nella propria casa di Telve, una cugina nubile del padre Giovanni, la quale probabilmente non andava molto per il sottile in quanto a misure disciplinari. Con il paese praticamente trasformato in una caserma della fanteria italiana fu facile per il ragazzino, virtualmente orfano, entrare in confidenza con i bonari militari toscani della brigata Venezia (83° ed 84° reggimento fanteria). Vigilio Ilario (ma il primo nome veniva regolarmente tralasciato ed il bambino era divenuto per tutti semplicemente “Ilario”) divenne rapidamente la mascotte dell’83° reggimento, che in Telve accantonava, prendendo l’abitudine di consumare il rancio assieme ai soldati. Ma delle due l’una: o il bambino era un vero discolo in vena di marachelle, o la cugina del padre non brillava per istinti materni; fatto sta che il ragazzino era frequentemente sottoposto a punizioni corporali, peraltro considerate all’epoca assolutamente normali. Fu probabilmente dopo aver assistito ad uno di questi episodi, che alcuni fanti dell’83° sottrassero Ilario agli scapaccioni della sua “badante” accogliendolo definitivamente nelle loro fila, con il complice e tollerante silenzio degli ufficiali. La permanenza presso l’83° fanteria non durò molto, poiché durante uno degli abituali avvicendamenti il ragazzino venne “trasferito d’ufficio”: a dicembre, il battaglione dell’83° del quale Vigilio era mascotte venne infatti inviato a riposo a Pieve Tesino, o
ve il comando di reggimento ordinò che il giovane fosse trattenuto, ospite del 94° battaglione della Milizia Territoriale.
Con gli anziani e pacifici territoriali, dei quali divenne in breve tempo il beniamino, Vigilio Ilario trascorse l’intero 1916 e parte del 1917, divenendo una presenza fissa e caratteristica per il comando di Pieve e riuscendo addirittura a farsi nominare caporale!
La singolare vicenda finì per attirare l’attenzione dei media dell’epoca (da qui l’articolo giornalistico già citato) e stimolò il caricaturista Cesare Annibale Musacchio, giunto quell’estate nel Tesino, alla realizzazione di una cartolina chiaramente ispirata alla foto comparsa su L’illustrazione Italiana.
Nello schizzo di Musacchio, infatti, la silhouette del “caporalino undicenne” è sostanzialmente la medesima della foto in cui compare Ilario Pecoraro; ed anche il volto dell’anziano ufficiale della territoriale dai baffi spioventi corrisponde inequivocabilmente all’immagine del militare ritratto nella foto dietro al ragazzino, alla sinistra di chi guarda. Insomma, anche Telve ebbe il suo “Piccolo Fante”, come la Val Calamento ed il massiccio di Cima d’Asta ebbero quel “Piccolo Alpino” letterariamente immortalato da Salvator Gotta nel già ricordato romanzo storico.
Nulla ci è dato sapere, finora, in merito alle ulteriori vicende di Ilario Pecoraro nel corso della Grande Guerra. Sappiamo che al termine del conflitto egli visse, scapolo, a Telve fino alla rispettabile età di 89 anni, passando a miglior vita il 30 maggio del 1995. A detta di chi lo conobbe, egli non fu mai particolarmente loquace in merito all’infanzia “guerriera” che gli aveva concesso un attimo di celebrità su scala nazionale, forse per un’innata timidezza o nel timore che la sua antica “adozione” da parte delle regie truppe ed il suo grado onorifico di caporale del regio esercito potessero venire maliziosamente interpretati. O forse perché della comparsa della foto su “L’Illustrazione Italiana” egli, bambino, mai era stato a conoscenza. O ancora, più semplicemente, perché di quell’esperienza poco o nulla ricordava o gli importava.
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