di JOHNNY GADLER
Ha collaborato con Paolo Fresu, Dargen D’Amico e realizzato un intero album dedicato a Pino Donaggio. Non si tratta di una jazzista, né di una rapper, tanto meno di una cantautrice. Isabella Turso, artista trentina poliedrica e carismatica, è considerata una delle compositrici e pianiste italiane più rappresentative di stile new classical-contemporary, con una capacità davvero rara di trasmettere la sua musica e la sua energia al pubblico, partendo dalla musica classica per arrivare al jazz, al rock, al pop e al rap. Noi l’abbiamo intervistata in occasione dell’uscita di “Nocturne”, il suo quarto album da solista con cui nei prossimi mesi girerà l’Italia esibendosi in luoghi davvero unici.
Isabella, come ti nasce la passione per la musica?
«Durante la mia infanzia e per merito di mio padre, persona schiva ma grande appassionato di musica e del pianoforte in particolare. Pur non essendo un musicista, all’epoca lui aveva un organo elettronico a doppia tastiera e comunicavamo proprio attraverso questo strumento a cui ero legatissima».
Poi come ti sei formata?
«A 9 anni iniziai un percorso accademico molto impegnativo, portato avanti con grande dedizione e sacrifici. Come accade in ogni disciplina, si crea un rapporto di amore e odio verso lo strumento a cui devi dedicarti anima e corpo per molte ore al giorno. Ma è proprio lì che riesci a capire se ci tieni davvero. E io non ho mai mollato, tanto da ottenere poi la laurea specialistica in pianoforte e musica da camera con lode al Conservatorio di Trento e perfezionarmi con grandi pianisti quali Bruno Mezzena e Alicia de Larrocha».
I tuoi musicisti di riferimento?
«Tanti, ma su tutti sicuramente i grandi nell’ambito delle colonne sonore, come Vangelis o Ennio Morricone, ma anche Debussy e Gershwin che fu molto coraggioso nell’uscire dalla comfort-zone della musica classica, andando ad esplorare altri mondi. Anch’io amo spaziare dalla classica al jazz, fino al pop, al rock e addirittura al rap».
Non esistono più i generi?
«Non dico questo, anche perché la classificazione della musica spesso è un discorso soggettivo, ma di certo i generi musicali non funzionano come dei compartimenti stagni. Fra loro vi sono sempre dei punti di contatto e alla fine ci si accorge che essi rappresentano solo dei modi differenti per esprimere lo stesso concetto, per trasmettere la stessa emozione».
Il tuo esordio discografico?
«Nel 2013 con l’album di inediti per pianoforte solo dal titolo “All Light”, con Maurizio Dini Ciacci come co-autore, in uno stile classico-pop-jazz che ebbe subito ottime recensioni. Poi ne realizzai anche una versione per trio jazz e orchestra sinfonica con la partecipazione straordinaria del trombettista Paolo Fresu. Di quel periodo mi piace ricordare anche la collaborazione con il violinista americano Albert Stern con cui registrai alcuni brani da me composti presso il Morning View Studios a Malibu in California, eseguiti con il famoso Violin Rouge “Mendelssohn” Stradivari del 1720».
Prima hai nominato il Maestro Morricone, il quale ti chiamò complimentandosi per la tua elaborazione pianistica di “Nuovo Cinema Paradiso”. Ci racconti quella telefonata?
«Era il Natale del 2014 ed ero a casa influenzata. Squillò il telefono e mi sentì dire: “Sono Ennio Morricone, ho sentito il suo arrangiamento pianistico e le faccio i miei complimenti per il suo talento e per la sensibilità nel modo di interpretarlo”. All’epoca avevo collaborato con il figlio di Morricone e così pensai che lui volesse farmi uno scherzo facendosi passare per il padre. Quando mi resi conto che stavo parlando davvero con il Maestro Morricone per poco non svenni. È stato senz’altro il regalo di Natale più bello della mia vita».
Sempre nel 2014 hai dedicato il tuo secondo album al compositore veneziano Pino Donaggio. Come mai?
«Premetto che mi è sempre piaciuta la musica dei cantautori anni ’50 e ’60. Pino Donaggio è un compositore che amo molto per quel velo malinconico che un po’ m’appartiene. Oltretutto prima di affermarsi come cantautore pop e autore di colonne sonore, Donaggio aveva iniziato la sua carriera come violinista. Ai miei occhi il mix perfetto per un musicista. Nonostante lui sia molto riservato, ebbi modo di conoscerlo a Venezia e di fargli sentire una mia composizione basata su alcuni temi tratti dalle sue canzoni. Lui ne rimase così entusiasta che mi offrì la possibilità di lavorare su altri suoi brani. Così nacque l’album “Omaggio a Donaggio”, in cui ho elaborato alcuni suoi temi famosi tratti da colonne sonore di film, di fiction TV e dalle canzoni “Io che non vivo” e da “Come sinfonia”, la mia preferita».
Donaggio ha lodato la tua congiunzione tra musica e immagine...
«Il mio approccio alla musica è molto fotografico, perché quando scrivo ho in mente delle immagini ben precise. La musica strumentale ha questo potere di entrare in un mondo di immagini e di visioni, non di parole. Del resto Beethoven sosteneva che "dove le parole non arrivano... la musica parla"».
A conferma della tua ecletticità, nel 2017 hai lavorato con il rapper Dargen D’Amico all’album “Variazioni”. Com’è stato?
«È sempre arduo trovare un punto in comune tra la musica strumentale classica e il rap, ma si è trattato di un’esperienza che mi ha arricchita tanto. L’obiettivo di “Variazioni” era di avvicinare il genere hip hop alla musica colta, cosa che è avvenuta nell’omonimo tour che ci ha visti girare per l’Italia, accolti sempre con grande calore da un pubblico soprattutto di giovanissimi. Davvero emozionante, poi, la chiusura del concerto di Patti Smith che abbiamo fatto a Sanremo».
A proposito di Sanremo, quest’anno in lizza c’è anche il tuo amico Dargen. Che ne pensi del Festival e della musica contemporanea in genere?
«Ascolterò il Festival e tiferò per Dargen. Per quanto riguarda la musica contemporanea credo che negli ultimi anni sia prevalso l’aspetto prettamente commerciale, con tanti tormentoni costruiti per funzionare sul momento, ma non credo che passeranno alla storia. Va detto, tuttavia, che la musica attuale è lo specchio fedele della nostra società, in cui passiamo freneticamente da una cosa all’altra. Mi piacerebbe che ci fosse il coraggio di proporre qualcosa di più originale, andando controcorrente. Ma capisco che non sia facile».
L'ultimo album “Nocturne” è dedicato alla notte. Perché?
«Per me la notte è molto vitale sia come spazio che come momento. Spesso mi capita di trovarmi a scrivere e a comporre nel cuore della notte. La notte possiede quell’aspetto di realtà parallela, quasi magica, che consente di aprire tanti canali che di giorno non sarebbero esplorabili. “Nocturne” racconta un viaggio attraverso le contraddizioni, i colori, le ombre, le suggestioni, i ritmi e i silenzi che compongono le varie fasi della notte, dove la riflessione, la solitudine e la creatività trovano conforto».
Non tutto il pubblico sa riconoscere la tecnica, ma coglie sempre l’energia e il carisma di un artista. Che cosa rappresenta per te il concerto?
«Energia allo stato puro, da dare e prendere dal pubblico, un momento per me rigenerante».
Nella tua musica c’è anche molta attenzione alla natura e all’ambiente. Perché?
«Da buona trentina amo fare le mie belle escursioni a contatto con la natura. Credo che i concetti di rispetto della natura, di riciclo dello scarto, di decontaminazione, del bello come forza espressiva, siano fondamentali e ognuno di noi, nel suo piccolo, dovrebbe promuoverli. Per quel che mi riguarda tutti i miei lavori discografici, e anche il tour “Nightfall Piano Tour” che partirà a marzo, sono legati alla sostenibilità».
Ci dici qualcosa sul tour?
«Farò tappa in varie regioni italiane. Stiamo ancora definendo le date, ma posso già dire che suonerò in contesti molto particolari e suggestivi come Castel Belasi a Campodenno e in una villa a Monza dove la proprietaria ha ricreato in piccolo il teatro alla Scala di Milano, raccogliendo anche una collezione di pianoforti antichi unica. Saranno concerti piuttosto intimi, per non più di 500 persone».
Progetti per il futuro?
«A maggio uscirà una pubblicazione di musica e poesia urban realizzata in collaborazione con il poeta californiano Adam Schmalholz in arte IN-Q».
Sogni e desideri?
«Mi piacerebbe dedicarmi alla composizione di colonne sonore e magari fare un progetto con un'orchestra importante per portare in giro la mia musica in maniera sinfonica. Sono tanti gli artisti con cui vorrei collaborare, ma in questo momento preferisco focalizzare le energie su di me. Anche perché quando le cose le cerchi troppo… alla fine non accadono, mentre quando segui la tua strada possono avverarsi degli intrecci inaspettati e meravigliosi. Come quella telefonata ricevuta dal Maestro Ennio Morricone che ancor oggi mi emoziona nel ricordarla. È proprio questo il bello della vita e della musica».