Sono nata in Brasile, l’ottava di una fila di nove figli. Mio padre faceva il camionista. Mia madre la casalinga. Una famiglia del tutto tradizionale. Non ci è mai mancato nulla nella nostra infanzia, ma con nove figli naturalmente non c’era spazio per il superfluo. E allora comprare un libro non scolastico era considerato superfluo. A casa mia c’era però una collana di fiabe classiche, formato gigante, stupende immagini. Pinocchio, I musicanti di Brema, Bianca Neve, Cappuccetto Rosso, Giacomino e il fagiolo magico…
MI RICORDO ANCORA MOLTE DI QUELLE pagine popolate di orchi, streghe, lupi, casette fatte di marzapane, tanto le avrò sfogliate. Altri albi illustrati nella casa della mia infanzia non me li ricordo. Penso non ci fossero proprio. Ma di un’altra cosa ho un ricordo molto vivo: le storie raccontate da mio padre.
Lui stava fuori tutta la settimana con il suo camion e il venerdì quando rientrava, dopo aver cenato e riposato in un clima di assoluto silenzio che nostra madre ci imponeva di rispettare, ci mettevamo, io e gli altri fratelli ancora non troppo cresciuti, seduti attorno a lui, sul lettone o per terra, e lui incominciava a narrare. Non c’erano libri, solo la sua voce che raccontava, un misto tra vissuto e immaginario. C’erano nomi di luoghi, fatti o persone conosciute, ma erano impregnati di fantasmi, ombre oscure, lupi mannari, rumori strani che uscivano dal bosco, streghe, diavoli.
ASPETTAVO OGNI SETTIMANA IL RITORNO DI mio padre per godere di questi momenti di viaggio, un viaggio condotto dal filo invisibile della sua voce narrante verso mondi popolati da strani fatti e creature. Lui sapeva come tenere la nostra attenzione, come riaccendere emozioni forti come l’attesa, il mistero, la paura, il brivido, la sorpresa. Ma sapeva anche poi come placare le nostre ansie, perché il fantasma che spaventava il personaggio nella notte, l’indomani altro non era che una foglia di banano che sventolava nell’aria illuminata dai...
LEGGI L'ARTICOLO INTEGRALE DI IVETTE MARLI BOSO SU IL CINQUE EXTRA DI MAGGIO