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Tullio Solenghi. «Tutto iniziò con Giacomo Leopardi»

Aggiornamento: 12 mag





di Terry Biasion


Tullio Solenghi: dal primo provino a Genova nel 1966 con "A Silvia" al grande successo con il "Trio" e poi come solista dal 1994...


Tullio raccontaci il tuo debutto, il tuo primo provino?

«Il mio primo provino al teatro stabile di Genova fu nel lontano 1966. Ero totalmente digiuno di teatro, così mi presentai con i primi cinque versi della poesia A Silvia di Giacomo Leopardi recitati con le intonazioni dei vari dialetti italiani, risero di gusto e mi presero. 

Squarzina, prestigioso regista dello Stabile di Genova, vide nella carrellata di quelli che gli doveva provinare un Amleto, un Otello, A Silvia, un’Ofelia.. A Silvia? Mi dissero: “Va be’ facci sentire” e cominciarono a sbellicarsi dalle risa e siccome io sono un ragazzo della provincia, pensavano che ridessero di me e invece no, ridevano per me, per quello che stavo recitando e quindi fui accettato alla scuola di arte drammatica grazie al genio di Recanati. Poi mi sono formato alla Scuola del Teatro Stabile, dove ho conosciuto Massimo Lopez. 

Il tuo esordio teatrale?

«Arrivò più o meno a 22 anni e, poco dopo, anche sul piccolo schermo. Nel 1976 Pippo Baudo mi inserì nello show Chi. In tv poi ho condotto Domenica In e Striscia La Notizia. La svolta arrivò quando formammo il trio insieme a Massimo Lopez e Anna Marchesini. Esordimmo con Helzapoppin in onda su Radio 2. Sin da subito il nostro trio è stato apprezzato dal pubblico, siamo approdati prima a Tastomatto e Domenica In, sino a Sanremo nelle edizioni del 1986, del 1987 e del 1989. L’apice del nostro successo arrivò nel 1990 con lo sceneggiato televisivo, svolto in chiave parodica, dei Promessi Sposi».


Il Trio Lopez-Solenghi-Marchesini è nella storia della televisione, qual è il segreto di questo grande successo?

«Credo che sia dovuto al nostro tipo di comicità di matrice teatrale, tutti e tre venivamo dal teatro, che caratterizzava i nostri pezzi. Inoltre l’alchimia che c’era fra noi era una cosa inusuale, nessuno era leader e nessuno  spalla dell’altro, ma ognuno lo poteva diventare a turno vicendevolmente». 


Poi il Trio si sciolse. Perché?

«Sì, nel 1994 il Trio si scioglie per la volontà di tutti e tre. Avevamo voglia di lavorare da solisti. Ci riunimmo il 3 marzo 2008 per festeggiare i 25 anni dalla nostra nascita nello spettacolo».


Hai attraversato varie fasi della nostra storia recente. Quanto è diverso il mondo dello spettacolo oggi rispetto ai vostri esordi?

«Io credo che quella che viene denominata genericamente rete abbia un po’ stravolto il nostro mondo. Oggi ognuno ha la possibilità di farsi conoscere e questo può essere un privilegio meraviglioso rispetto ai nostri tempi, ma è anche un’arma a doppio taglio perché spesso si assiste a dei fenomeni che durano lo spazio di un giorno o di una settimana per poi tramontare inesorabilmente. Una volta un nostro sketch durava minimo 8 minuti, oggi in programmi come Zelig in 8 minuti passano almeno tre comici. Oggi la comicità è mordi fuggi, con meno costruzione della battuta. Prima c’era  più preparazione, cosa che comunque piace ancora visto che i nostri  pezzi continuano ad essere riproposti a Techetechete».


Quali modelli artistici hai avuto da ragazzo?

«Quando ero ancora ragazzo il mio modello era il grande Gilberto Govi, poi facendo teatro e recitandoci insieme sono diventati Lina Volonghi, Tino Buazzelli, Alberto Lionello e più recentemente il grande Woody Allen».


Cosa bolle in pentola ovvero a quali progetti artistici ti stai dedicando?

«Sono attualmente in scena con lo spettacolo che faccio in coppia con il mio Massimo Lopez, che abbiamo scritto e messo in scena insieme dal titolo “Dove eravamo rimasti” e a breve porterò in tournée lo spettacolo di Gilberto Govi con cui ho debuttato l’anno scorso a Genova “I mezzi per maritare una figlia”».


Se potessi parlare con Solenghi bambino, cosa gli consiglieresti per affrontare il mondo di oggi?

«È il consiglio che sto dando ai miei nipoti, quello di avere sempre un sogno, una passione da perseguire, al di là di tutte le difficoltà che può creare l’esistenza. Bisogna avere sempre degli obiettivi, dei sogni, perché se i sogni restano nel cassetto rischiano di marcire, di essere invasi dalle tarme e pian piano disintegrati: il mio, ad esempio, è sempre stato un sogno attivo, realizzato, concreto».


Tullio ti fa paura invecchiare?

«La mia paura non è genericamente di invecchiare, ma di invecchiare perdendo le capacità fondamentali che sono quelle cognitive e motorie, che prima o poi sicuramente andranno scemando, ma meglio arrivarci il più tardi possibile e nel miglior modo possibile».

 

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