di LINO BEBER
Spiaz de le oche con la sua fontana è una delle piazze più caratteristiche di Pergine con le case addossate le une alle altre e i caratteristici poggioli in legno con i graticci di legno dove un tempo veniva messo a essiccare il granoturco. Il nome della piazza origina dalla destinazione agricola di questa parte della borgata, nelle cui vicinanze si estendeva, fino alla fine del XVIII secolo, la zona paludosa, dove le oche trovavano il loro habitat ideale e per le quali si è pensato a un fantomatico quartiere di Ebrei, che le avrebbero usate per alcuni riti.
NELLA GUIDA Le chiese di Pergine a cura di Umberto Frisanco c’è scritto che nel 1631 la peste aveva infuriato in numerose località del Trentino e a Levico in particolare, mentre Pergine fu risparmiata e per tale motivo in quel periodo fu costruita una cappella poco più grande di un’edicola come atto di ringraziamento ai santi Rocco e Sebastiano che la devozione popolare considera protettori nelle epidemie e nella peste in particolare. Nel 1685 Carlo Polacco, che nel 1665 era sindaco di Pergine e nel 1674 podestà di Riva, decise di ampliarla quando anche il Perginese fu colpito dalla peste e nel 1688 istituì un beneficio di messe da celebrarsi nella chiesetta.
Nell’affresco esterno sul timpano della chiesetta sono raffigurati i santi Rocco e Sebastiano e al centro, sopra la finestrella a lunotto, è ancora visibile una parte dello stemma della famiglia Polacco, concesso nel 1656 dal Principe Vescovo di Trento Carlo Emanuele Madruzzo.
NELLO STEMMA, TUTTORA ben visibile e restaurato sulla loro dimora di via Maier, si vedono due aquile con una corona d’oro e due leoni che impugnano un piccone d’argento e, al centro, un uomo barbuto vestito di rosso, con una cintura azzurra, un cappello rosso a punta e che impugna con la destra un piccone. Probabilmente la famiglia Polacco, originaria della valle di Sole, era legata all’attività mineraria, perché nello stemma sono rappresentati dei picconi d’argento e ferro, tipici strumenti di lavoro dei minatori. L’affresco fu restaurato nel 1908 dal pittore Tullio Garbari.
Dopo la Prima guerra mondiale fu rimessa sul piccolo campanile a vela una nuova campanella in sostituzione di quella requisita durante la guerra per disposizione del governo austriaco.
Nel 1929 con il contributo della gente del rione l’interno della chiesetta fu decorata dal pittore Luigi Battisti di Trento, autore anche di alcuni artistici graffiti sulle case di Roncogno da lui realizzate nel periodo della Seconda guerra mondiale quando era sfollato nel paese di nascita della moglie.
NEL 1922 FU RIFATTO il tetto e l’intonaco esterno e oggi l’affresco sul timpano meriterebbe un intervento urgente per salvare le poche parti rimaste, tra le quali l’omino rosso, noto anche come “nano metallurgico”. All’interno della chiesetta la pala dell’altare è un olio su tela raffigurante in alto la Madonna con il Bambino e in basso i tre santi: Rocco, Antonio da Padova e Sebastiano.
Nel paliotto dell’altare ligneo è collocata la scultura di san Rocco opera dell’artista autodidatta perginese Dino Visintainer; nella parte alta dell’opera scultorea si notano le oche a indicare il luogo dove si trova la chiesetta, il santo con il sanrocchino (vestito caratteristico del pellegrino con il mantello detto tabarro e la mantellina detta tabarrino), il bastone e il cane e, in alto a destra, la pianta di nocciolo a indicare che le nocciole maturano a ferragosto, come recita il proverbio “de san Roc le nosele le va de scroc” (Quando si festeggia san Rocco, il 16 agosto, le nocciole sono mature).
ALL'INTERNO DELLA chiesetta ci sono una statua di san Rocco (70 cm), un crocifisso, 2 oli su tela raffiguranti il Cristo Crocefisso e la Madonna di Caravaggio e 3 quadri a stampa con l’Immacolata, la Madonna del Rosario e san Giuseppe. I dipinti dell’abside e del soffitto sono molto rovinati, però si riconoscono i quattro Evangelisti.
Di fronte alla chiesetta la villa della famiglia di Andrea Vielmetti (1821-1893), nativo di Tavòn in Val di Non che verso la metà dell'800 arrivò a Pergine avviando una fabbrica di tessitura di seta, che si trovava dove c’è l’officina dei fratelli Giancarlo e Flavio Tomaselli con ingresso da via Bortolamei. Nel vasto giardino furono poi costruite abitazioni, dopo la demolizione del muro di cinta.
Alla sinistra della chiesetta l’edificio dove un tempo c’era l’Albergo-Trattoria San Rocco di Umberto (Uberto il vero nome di battesimo) Frisanco con negozio di coloniali, piccola fabbrichetta di gazosa dove pare che Benito Mussolini lavorò per un breve tempo nel 1909, quando collaborava come giornalista del giornale “Il Popolo” di Cesare Battisti, gioco bocce e perfino proiezione di film.
DA PIAZZA SAN ROCCO inizia via Dossetti e via Bortolamei, mentre nello Spiaz de le oche, un tempo nota come Piazza Pacini, cognome di un generale della Prima guerra mondiale del quale non siamo riusciti a risalire al nome, arriva via Roma e inizia via Brenta che sfocia in viale Venezia.
Nella piazza resistono alcuni esercizi commerciali: la storica bottega di ferramenta e colori della famiglia Frisanco, un tabacchino-negozio, lo studio d’arte Astrid Nova. All’angolo tra via Verdi e via Roma c’è il Bar Oko, che ricorda il maschio delle oche della vicina piazza. Un tempo la famiglia di Antonio Alessandrini aveva aperto il bar con la vicina omonima distilleria di grappa.
In una casa della piazza l’artista perginese Gedeone Nicolussi (1890-1963) aveva il suo laboratorio artistico. Quando la piazza fu rinnovata, alla vecchia fontana fu annesso un piccolo laghetto con delle artistiche oche di bronzo, in seguito spostate su un vicino poggiolo.